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 trekking..

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Skeepy
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Skeepy


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MessaggioTitolo: trekking..   trekking.. Icon_minitimeMer Set 26, 2007 5:30 am

Da dove vieni?». «Dalla Mongolia, a cavallo. Sono australiano». «E dove vai?». «In Ungheria». Per poco non è svenuto, il taglialegna kazako che si è imbattuto nell'avventuriero Tim Cope, 28 anni, con le labbra paralizzate e i ghiaccioli che gli pendevano dal naso a -50 gradi, in una sera d'inverno del 2004 ad Abakai. Il ragazzo ricalcava le orme di Gengis Khan, i cui discendenti gli avevano appena spalancato le loro iurte per accoglierlo con tutti gli onori. Sulla sua strada, che si è conclusa trionfalmente a Opustaszer sabato scorso dopo quasi tre anni e mezzo di viaggio, Tim è stato spesso paragonato a un Marco Polo d'inizio millennio, intento a trasmettere i suoi blog dalla steppa.

Diecimila chilometri per ripercorrere il tragitto del temuto condottiero mongolo, creatore del più grande impero della storia: una sorta di lungo, aspro ponte gettato dai guerrieri nomadi fra l'Asia e le porte dell'Europa. Tim Cope è il primo viaggiatore dei nostri tempi a riuscire in una simile impresa da solo. Nonostante si sia messo in cammino sapendo a malapena stare in sella, si è sempre portato dietro tre cavalli: ne montava uno, mentre gli altri due trasportavano rispettivamente il cibo e le attrezzature, tra cui computer e telecamere. L'ispirazione gli era venuta anni fa quando, in bici nel deserto del Gobi, si era visto arrivare incontro cavalieri al galoppo pazzo, in totale libertà.

Tre inverni e quattro estati, accolto da mongoli, kazaki, calmucchi, cosacchi, tartari della Crimea, russi, ucraini e ungheresi. Con tutti i crismi dell'ospitalità obbligatoria: «Non sarei arrivato in Ungheria se non mi fossi fatto tanti amici per la strada - ha raccontato Tim -. I mongoli erano soliti dirmi che un uomo sulla steppa senza amici è striminzito come un dito, ma un uomo con amici è grande come la steppa». Lo ha scortato fino alla fine il suo fedele cane Tigon, che Tim una volta ha dovuto rianimare in una sauna con uova crude e vodka, dopo averlo salvato da una cava ghiacciata in cui alcuni minatori disoccupati lo avevano gettato per farlo arrosto.

«I veri eroi di questo viaggio sono i miei animali», ha detto generosamente Tim al suo arrivo trionfale in Ungheria. Lungo l'epico tracciato della sua avventura ha cambiato tredici cavalli. I primi glieli hanno rubati dopo nemmeno una settimana, e altri se l’erano svignata al galoppo con tutte le sue attrezzature nei pressi di Astrakhan, ma lui li ha puntualmente, e miracolosamente, ritrovati. E' stato attaccato da stalloni selvaggi nella steppa e da un branco di lupi in Mongolia, che lui è riuscito a disperdere accendendo qualche petardo. Si è perso nella tormenta, è rimasto senz'acqua nel deserto con 54 gradi sotto il sole. Nella torrida estate del 2005 ha viaggiato anche con un cammello, e soltanto di notte. E Tigon lo ha difeso dagli assalti di pecore e mucche.

Quando gli è morto improvvisamente il padre, Tim ha fatto ritorno in Australia per i funerali, ma ha capito che per superare il dolore doveva tornare nella steppa, dove i nomadi gli avevano insegnato tante cose sulla transitorietà della vita. Al di là del Volga, ha incontrato la tribù calmucca dei «torgut», discendenti della guardia personale di Gengis Khan, che lo hanno accolto come un eroe, e nei Carpazi un prete di montagna gli ha presentato gli Hutsul, una popolazione fiera attraverso il cui territorio i mongoli avevano sferrato la loro offensiva finale verso l'Ungheria. I loro cavalli discendono direttamente dagli animali rimasti lì durante la ritirata mongola del 1241.

Sabato, col groppo alla gola, Tim Cope ha detto: «Qui, presso il Danubio, finisce la steppa euroasiatica, che comincia con la Mongolia e la Manciuria. Per me non c'era posto più simbolico dove terminare il viaggio». Tigon, sulle cui avventure Tim vuole ora scrivere un libro per bambini, lo seguirà in Australia.
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